2 marzo 2023

di Marco Ponti

Il Governo Draghi

Nell’elenco delle cose non fatte dal Governo Draghi e che a giudizio di chi scrive si dovevano fare ci sono molte cose. E di quelle fatte, alcune era meglio non farle.

La legge sulla concorrenza è stata rimandata più volte, tanto che ha ancora la denominazione 2021 ma il tema interessa talmente la politica italiana che di fatto si fa quando capita. I taxi comunque sono stati stralciati.  Per i servizi locali c’è stata apparentemente una accelerazione per i relativi decreti attuativi che forse potranno attenuare le istanze anticoncorrenziali che sembrano dominanti.  

Ma occorrerà valutarne gli impatti: in realtà nelle pieghe della nuova legge vi sono ancora molte scorciatoie per evitare agli enti locali di fare gare vere.

Il decreto citato sembra in effetti separare più nettamente i meccanismi di assegnazione dei servizi nel caso l’ente locale sia anche concorrente, gareggiando con la sua impresa. Tuttavia, per esempio sembra mantenere facoltativa la suddivisione in un numero adeguato di lotti separati anche nelle città maggiori (il lotto unico rappresenta una forte barriere all’ingresso).

Un altro aspetto da interpretare è quello degli affidamenti diretti, o “in house”. È richiesta una completa documentazione, economica e tecnica, per usare questa fonte di affidamento, ma non è chiaro se poi l’Autorità regolatrice preposta, l’ART, abbia pieno diritto di respingere una documentazione che non risultasse adeguata, re-imponendo la gara.

La compagnia aerea pubblica ITA, che è succeduta alla gloriosa Alitalia e perde altrettanti soldi, è ancora in corso di vendita, ma sembra vi sia una forte volontà politica a mantenerne in mano pubblica una quota rilevante (forse il 49%). Sembra ovvio che si vuole mantenere a quella impresa una solida protezione dalla concorrenza, visto che di nuovo non potrà fallire qualsiasi cosa faccia.

La vicenda della buonuscita plurimiliardaria ad Autostrade per l’Italia (AspI) è non solo stupefacente e scandalosa in sé, ma sarà fatta pagare ancora agli utenti.

Non c’è traccia di innovazioni regolatorie per il settore ferroviario. In compenso si è fatto un grandioso piano di investimenti ferroviari per il PNRR. Gli studi di fattibilità sono stati affidati allo stesso destinatario dei fondi (FSI) la cui metodologia di valutazione sembra in grado di dimostrare la fattibilità economica di tutto e il contrario di tutto.

Anche dal punto di vista ambientale queste opere suscitano perplessità: essendovi un gran numero di manufatti, soprattutto gallerie, che generano molte emissioni in fase di costruzione, ed essendo assai incerte le previsioni del traffico che può essere sottratto alla strada, vi è il concreto rischio di un risultato del tipo conseguito in Spagna, dove più di un terzo delle linee AV ha determinato un danno netto all’ambiente.

Il governo Meloni

È certo presto per giudicare il nuovo ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Positivo certo sia il ritorno al nome precedente del ministero (la “mobilità sostenibile” suonava troppo “politically correct” per non suscitare perplessità), che l’approvazione della legge sulla concorrenza di Draghi, data la ribadita ostilità preelettorale di almeno due partiti della coalizione all’avvento di operatori stranieri. La legge presenta, come si è detto, molti problemi, ma non si può escludere a priori che un qualche risultato lo ottenga, anche se per le maggiori città prevalgono i dubbi.

Comunque, certo il tema su cui il nuovo ministro si è speso di più è quello, non nuovissimo, del Ponte sullo Stretto, di dubbia fattibilità tecnica oltre che economica. Per fortuna Salvini si è recato con vasta delegazione a Bruxelles per promuovere il finanziamento europeo di parte dell’opera, con l’ovvio risultato di vedersi richiesto un adeguato studio di fattibilità.

È emerso anche un terreno di scontro tra il ministro ed altri organi dello Stato sul codice degli appalti, ma sembra che le istanze del ministro, tutte tese ad allentare vincoli per le gare, non abbiano avuto pieno successo, anche se il contezioso risulta ancora aperto.

Infine, c’è da registrare un episodio ricorrente, e alquanto inquietante. Tutti i nuovi ministri appena si insediano si affrettano a firmare i trasferimenti a FSI, prendendosi davvero pochissimo tempo per verificarne la congruità. Questa volta si trattava di 23 MD€ in 4 anni, un importo davvero notevolissimo. Ovviamente c’è da credere che non avvenga alcuna verifica nel merito (si richiederebbero almeno alcuni mesi di intenso lavoro tecnico), ma si tratti di atti formali, firmati “sulla fiducia”. Questo si ripete, come si è detto, ed è la norma. Ora FSI è una S.p.A. certo pubblica ma statutariamente portatrice di interessi, pubblici ma anche privati (fornitori e costruttori). E’ possibile che interessi così poco come spende le risorse, soprattutto quando cambiano radicalmente i governi, e quindi verosimilmente gli obiettivi pubblici? Un tempo notoriamente le ferrovie erano un canale di finanziamento occulto della politica. Oggi verosimilmente non è più così, e speriamo si tratti solo di forme di grave e censurabile disattenzione.