17 agosto 2023

di Luca Bianco

Lo accusano di “scippare” soldi al Sud destinandoli alle infrastrutture del suo Nord, facendolo piombare nell’incubo di essere identificato come un leader leghista vecchio stile – “Prima il Nord” e non “Prima gli italiani” – e Matteo Salvini risponde con l’unica lingua che conosce: il rilancio, promettendo una “pioggia di miliardi” che sarebbe in arrivo in tutto il Mezzogiorno, in particolare tra Calabria e Sicilia, grazie all’indotto del “suo” grande sogno, diventato la cifra del suo futuro politico: il Ponte sullo Stretto. E allora se il ministero delle Infrastrutture viene accusato di essere troppo “nordista”, con 2,5 miliardi di euro destinati da ferrovie e strade del Mezzogiorno che nel Pnrr saranno spostati a nord del Po, lui si difende: “Oltre al Ponte, in Calabria e in Sicilia sono in arrivo altri 75 miliardi di euro di cantieri”. Peccato però che un paio di cose, nella narrazione del Capitano e vicepremier, non tornino: le risorse in questione riguardano investimenti programmati da Anas e Rete Ferroviaria Italiana da qui ai prossimi dieci anni, e non domani, dunque. In più, come si legge in un report a firma della società di analisi Bridges Research guidata da Marco Ponti, si tratta di risorse decisamente esagerate per l’obiettivo che si pongono: come il raddoppio dell’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria, quasi sedici miliardi di euro destinati a far risparmiare solo 40 minuti di tempo di percorrenza.

Quasi 28 miliardi di euro pianificati per strade e autostrade in Sicilia e in Calabria, 47 miliardi in totale per le reti ferroviarie, per un totale di 75: investimenti “senza precedenti che il Mit guidato dal vicepremier e ministro Matteo Salvini – si legge in una nota ministeriale pubblicata oggi – ha in programma per rilanciare le infrastrutture al Sud, anche in vista della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina”. In Sicilia, spiega il comunicato, “sono progettati investimenti per circa 15 miliardi di euro con particolare attenzione alle strade statali di collegamento, alle tangenziali di Palermo, Agrigento e Catania e ai lavori dell’autostrada Siracusa-Gela. In Calabria è previsto un piano di investimenti complessivo pari a 12,8 miliardi per strade e autostrade, 3 dei quali già stanziati con decreto per la SS106 Jonica”. Per la rete ferroviaria, in Sicilia sono programmati investimenti per 13 miliardi. Tra gli altri, prosegue la nota, il nuovo collegamento veloce Palermo-Catania-Messina, il ripristino ed elettrificazione della linea Palermo-Trapani via Milo, i collegamenti con gli aeroporti di Trapani Birgi e di Fontanarossa, nonché la Caltagirone-Gela. In Calabria per la rete ferroviaria è previsto un piano di investimenti di 34,8 miliardi: 15,9 miliardi per la Salerno-Reggio Calabria, 230 milioni per l’adeguamento tecnologico della linea Battipaglia e Reggio Calabria e ancora la Variante di Cannitello e la Linea Rosarno-S. Ferdinando.

Non c’è che dire. I numeri delle risorse messe in campo e la puntuale elencazione delle opere in cantiere fanno il loro effetto. Si tratta di investimenti che oggettivamente sono destinati a potenziare la situazione infrastrutturale di due regioni italiane, Sicilia e Calabria, decisamente più indietro rispetto ad altre aree del Paese. Il fatto è che gli investimenti elencati dal comunicato a firma dello staff di Matteo Salvini riguardano una pianificazione che va da qui al 2033. Una conferma di ciò arriva dalle parole – pronunciate durante una giornata di convegni dedicata al Ponte sullo Stretto a luglio – dell’amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato (di cui fanno parte, come controllate, le società Rete Ferroviaria Italiana, e Anas), Luigi Ferraris: “Il Ponte sullo Stretto si inserisce in un contesto infrastrutturale più ampio, che in Calabria e in Sicilia vedrà il Gruppo FS investire nei prossimi dieci anni 80-90 miliardi di euro per potenziare una rete che porterà benefici all’Italia e all’Europa”.

Un maxi-investimento su ferrovie, strade e autostrade che porterà benefici alle due regioni, ovviamente, ma che però, nella sua lunga programmazione territoriale evidenzia indirettamente quale sia il problema strutturale sul quale il ministro evita prudentemente di intervenire: la capacità di mettere effettivamente a terra questi soldi. Già, perché se nel 2033 Calabria e Sicilia sono destinate a diventare “centrali nel Mediterraneo e in Europa” grazie al Ponte, non lo diventeranno di sicuro nei prossimi tre anni. È notizia di questi giorni, infatti, che lo stesso Mit guidato dal leader del Carroccio è in procinto di rimodulare circa 2,5 miliardi di euro di stanziamenti previsti dal Pnrr. I soldi verranno spesi, ma non per le destinazioni infrastrutturali originariamente previste dal Piano. In un’informativa del ministero delle Infrastrutture inviata al Cipess di Palazzo Chigi, si fa riferimento alla necessità di definanziare dal Pnrr alcuni investimenti che nel 2023 rischiano di fermarsi nella loro realizzazione. Si tratta di un pacchetto di opere, concentrate soprattutto al Sud, che non sarebbe possibile realizzare entro la data di scadenza del 2026 – pena la perdita delle risorse europee – a causa di problemi di eccessiva urbanizzazione o legati all’impervietà del territorio. E così dal Pnrr verranno depennate la linea Lamezia Terme-Catanzaro, la Sibari-Porto Salvo, la Roma-Pescara o il raddoppio della Falconara-Orte. Risorse che verranno spostate, negli intendimenti del Mit, verso l’Alta velocità Verona-Padova, il Terzo Valico di Genova e il sottopasso della Merano-Bolzano.

Dalle opposizioni sono così piovute, nelle ultime ore, una serie di pesanti critiche alla decisione del Mit a guida salviniana. “Il ministro che dovrebbe unire un Paese già diviso a metà, perpetua la stagione degli scippi già cari alla Lega Nord” avverte Vittoria Baldino, vicecapogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera: “Oggi come ieri – prosegue la pentastellata – siamo alle solite: il meridione trattato come bacino di voti con promesse da marinaio mentre nei fatti, arricchiti dal progetto di autonomia differenziata, si perpetua la differenziazione di due aree del Paese che invece dovrebbero marciare alla stessa velocità se si vuole far correre l’Italia”. Per il Partito Democratico è Piero De Luca, segretario del gruppo dem a Montecitorio, a parlare: “Spiace constatare l’incapacità del Governo che anziché affrontare i problemi degli italiani si dimostra in grado solo di attaccare e penalizzare ogni giorno il Mezzogiorno. Le scelte politiche fatte ad oggi si ripercuotono soprattutto contro il Sud”. Salvini si difende in qualche modo, utilizzando la stessa linea di difesa inaugurata dal ministro del Pnrr, Raffaele Fitto, in questa calda estate di rimodulazione del Piano: “Le opere tolte dal Recovery non saranno abbandonate. Saranno finanziate con altre risorse”. Peccato che, ad oggi, nonostante varie ipotesi paventate dal governo – come i fondi strutturali Ue – in nessun documento è riportato nero su bianco che fine faranno questi progetti che saranno espunti dal Pnrr. A differenza di Fitto, uomo politico dalla cifra comunicativa più moderata, Salvini si difende alzando la posta, sciorinando i lunghi elenchi di investimenti di Anas e Rfi, i 75 miliardi di cui sopra, senza però definirne i tempi di messa a terra. Risorse che, come si nota in diverse analisi costi-benefici pubblicate negli ultimi mesi, non per forza saranno così utili all’economia del Mezzogiorno. Scrive Marco Ponti, accademico con lunghissima esperienza nell’analisi di grandi progetti infrastrutturali, oggi responsabile dell’associazione di ricerca indipendente Bridges Research, a proposito di una delle opere al centro della pioggia di miliardi salviniana, il raddoppio dell’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria: “Rispetto alla linea esistente tra Salerno e Reggio Calabria, in fase di velocizzazione e molto lontana dalla saturazione (al massimo di arriva al 50% della capacità), con la nuova linea si otterrà un risparmio di circa 40 minuti di tempo di viaggio”. Insomma, quasi sedici miliardi di euro di investimenti di Rfi – “a spese dei contribuenti”, come fa notare Ponti – destinati a un’infrastruttura ad alto rischio di sotto-utilizzo. Una denuncia che fa eco con quella a firma del Kyoto Club, ne abbiamo parlato qui, dove un comitato di esperti smonta l’utilità dell’opera regina del maxi-piano infrastrutturale a firma Salvini: “Il Ponte sullo Stretto sarà costretto a chiudere per vento 45 giorni all’anno, sarà a rischio sismico, causerà una strage di uccelli, ostacolerà il traffico di alcune portacontainer, e che in definitiva vedrebbe i benefici annullati dai costi”. Ma forse è meglio evitare di rilanciare ulteriori analisi costi-benefici sulle opere infrastrutturali previste per un futuro non ancora precisato: c’è il rischio che il vicepremier sia costretto ad annunciare una nuova pioggia di miliardi.