
24 aprile 2025
di Marco Ponti
La variabilità delle esternazioni trumpiane è tale che si può solo parlare di un aumento generalizzato dei dazi americani, che comunque rimane un fatto rilevante.
Tre sono gli impatti da considerare per il settore dei trasporti: la domanda di mobilita delle merci e delle persone, la domanda dei diversi mezzi di trasporto, e infine l’ambiente.
La domanda di trasporto merci internazionale è destinata a diminuire sia per il possibile calo del PIL mondiale (speriamo non di molto…), sia per le filiere logistiche più corte, cioè per produzioni meno a rischio di turbolenze internazionali, più “vicine a casa”.
Anche perché “riportare a casa” molte produzioni è un obiettivo dichiarato di Trump.
Questa diminuzione può avere anche qualche rimbalzo positivo per gli scambi nel resto del mondo: i mercati dei noli (cioè i prezzi del trasporto via nave), tendono a cambiare velocemente con la domanda, quindi potrebbero ridursi molto, a beneficio dei paesi che manterranno più aperti gli scambi internazionali.
Questo anche se il mercato dei noli presenta un certo grado di oligopolio: le tre maggiori compagnie marittime, MSC, APM-Maersk, e CMA-CGM, controllano una quota dominante della capacità totale delle navi porta-containers,
La mobilità internazionale delle persone, in particolare il turismo dagli Stati Uniti, potrebbe soffrirne, se il dollaro continua ad indebolirsi. Ma questo dovrebbe essere controbilanciato dalla crescita ininterrotta del turismo cinese. E nel turismo possono anche verificarsi modifiche a causa di “simpatie politica”, come quelle che hanno comportato un repentino calo delle vendite delle auto Tesla di Musk.
La mobilità interna di merci e persone varia principalmente con il PIL, quindi non cambierà molto (ma varia anche con la demografia, in Italia in discesa).
Per la domanda di mezzi di trasporto, occorre ricordare che le navi mercantili sono prodotte principalmente in Cina e nella Corea del sud, con il Giappone come terzo. Un certo calo è possibile, ma non repentino: Trump è un fenomeno che tutti si aspettano passeggero, dati gli effetti negativi che sembra avere anche sull’economia americana.
Certo gli Stati Uniti non riusciranno a riportare a casa la cantieristica navale.
Anche il mercato degli aerei è caratterizzato da un sostanziale duopolio, in questo caso tra Europa con l’Airbus e gli USA con la Boeing.
Verosimilmente la Boeing, già in difficoltà a causa di alcuni gravi incidenti, ne soffrirà di più.
Infatti, oltre il fatto che la Cina (un grande mercato) ha immediatamente bloccato gli ordini di aerei Boeing, altri paesi vedranno con molto più favore quelli Airbus, e comunque le forniture di Boeing sono molto più internazionalizzate di quelle di Airbus (la stessa Italia produce parti di fusoliere).
Anche qui, riportare in patria (re-shoring) la componentistica aerea è un obiettivo difficile in tempi brevi.
Certo Trump potrebbe imporre per via negoziale l’acquisto di aerei americani, e tamponare così qualche falla per Boeing. Ma la perdita di immagine rimarrebbe pesante: “si compra Boeing solo perché costretti…”.
Airbus rimarrà l’unico produttore non americano: un forte vantaggio, visto che questo è uno dei pochi settori ad elevata tecnologia dove la Cina non è riuscita ad inserirsi.
E veniamo ai mezzi di trasporto economicamente dominanti, l’automotive: automobili, camion e autobus, e loro componenti.
Qui la produzione è molto internazionalizzata ed integrata, anche per i mercati di sbocco. Tutti producono e vendono ovunque, e in più con l’elettrico la tecnologia è in rapida evoluzione.
Qualche industria creerà o amplierà impianti in USA (ha già iniziato Toyota), ma certo non i cinesi, oggi assenti da quel mercato. Forse Stellantis con Chrysler. Forse anche qui Trump può imporre di comprare “più americano”, ma non certo molto, dato l’elevato livello di concorrenza che esiste nel settore, e l’incidenza dei costi di trasporto dei prodotti finiti.
I dazi americani qui alzeranno i prezzi in USA sia perchè le auto straniere faranno meno concorrenza ai produttori locali, che potranno così alzare i loro prezzi, sia perchè le componenti importate diventeranno più care.
Infine bisogna ricordare che i trasporti generano un quarto delle emissioni di gas serra, ed è un settore dove è difficile abbatterle.
Il sostanziale negazionismo trumpiano rallenterà la conversione all’elettrico dell’automotive USA, ma questo contribuirà a rendere le loro produzioni invendibili, anche a causa delle economie di scala che gli altri paesi raggiungeranno nella propulsione “verde”.
La Cina è già leader indiscusso nel settore, e l’elettrificazione, o altre tecnologie non fossili, “emigreranno” anche nei veicoli per il trasporto merci, in quelli da cantiere, negli autobus, e nella componentistica. E con la Cina l’Europa certo dovrà trovare un equilibro, ma avrà di fronte un mercato molto esteso in cui operare, dal quale gli statunitensi saranno sostanzialmente (auto)esclusi.
E pensare che l’auto elettrica è davvero nata negli USA, dal genio di Elon Musk, che oggi si trova a rinnegare anche il suo passato ambientalista.
Ma sembra si stia riconvertendo alla guida autonoma: magari involontariamente produce anche qui dell’innovazione utile a tutti.