18 aprile 2025

di Marco Ponti

Il settore in Europa è notoriamente in profonda crisi, per il sommarsi di una scelta infelice di politica ambientale ma anche di una risposta industriale a questa scelta che si è dimostrata altrettanto poco preveggente.

La scelta politica è stata quella di promuovere una tecnologia specifica per abbattere le emissioni inquinanti (l’elettrificazione), e porre dei vincoli stringenti alla sua realizzazione (solo elettrico dopo il 2035).

L’industria ha scommesso su veicoli costosi, perché guadagna soprattutto sugli accessori, e ha contato probabilmente di raggiungere economie di scala, che in tempi successivi avrebbero consentito di produrre anche modelli economici.

Questo, tenendo presente che le macchine elettriche hanno molte meno parti mobili di quelle tradizionali.

Ma la ridotta autonomia, le stazioni di ricarica spesso insufficienti (specie in Italia), l’incertezza sull’obbligo del passaggio all’elettrico, e gli alti prezzi, hanno costituito un mix micidiale, che è rimbalzato anche sul mercato delle auto tradizionali, rallentando il rinnovo del parco veicoli (in Europa ormai di gran lunga il principale).

E ha fatto fallire anche la scommessa dell’industria sulle economie di scala per l’elettrico.

Ne risultano danni sia per i produttori, che per l’occupazione, che per l’ambiente (i veicoli stradali generano circa il 25% delle emissioni di CO2).

Inoltre sono stati fatti rilevanti investimenti sulla produzione di veicoli elettrici con batterie al litio, che vanno ammortizzati, con il rischio che questo rallenti anche ulteriori innovazioni (per esempio, l’introduzione di batterie allo stato solido).

Ora, l’avvento dei dazi di Trump, e la rapida crescita della produzione cinese di veicoli a basso costo aggravano ulteriormente le prospettive europee per il settore.

Per inciso, il fatto che l’unione europea abbia promosso senza successo l’investimento di ingentissime risorse pubbliche sullo spostamento della domanda di mobilità dal trasporto stradale a quello ferroviario, non ha certo giovato al settore automotive, che pur fortemente tassato ha confermato la sua sostanziale insostituibilità.

Non si può dimenticare infatti che se un consumo inquinante viene fortemente tassato, e nonostante questo non si riduce, significa che i costi delle alternative per i consumatori sono molto alti.

Questo è il significato economico del termine “difficile da abbattere” che usa Draghi nel suo documento sulla competitività europea, quando parla di problemi ambientali per l’automotive.

Che fare allora, anche per l’ambiente, se non si vuole seguire l’ondata negazionista, che insieme ai dazi, arriva da oltreoceano?

Le strade principali, piuttosto in salita, sembrano due: concentrare gli sforzi sulla produzione di auto elettriche a basso costo, e contemporaneamente aprire spazi a tecnologie differenziate pur che rispettino standard ambientali stringenti, cioè puntare più sull’obiettivo di ridurre le emissioni che su tecnologie particolari.

E si ricorda che la strada maestra per ottenere risultati ambientali tecnologicamente “neutrali” è quella del carbon pricing, cioè di far pagare tutti i settori una tassa proporzionale alla quantità di combustibili fossili impiegata.

Per il primo obiettivo, la produzione di “utilitarie elettriche”, meno profittevoli, comporterebbe verosimilmente sia sussidi che il continuare forme di protezione dalla concorrenza cinese. Non una soluzione ideale, ma necessaria per ridurre le conseguenze di una scelta discutibile.

Per i produttori tuttavia significherebbe anche avvicinare la auspicate economie di scala, accelerando la produzione e ammortizzando gli investimenti già fatti.

Ridurre i vincoli sulle tecnologie vuol dire per esempio dare maggior spazio ai carburanti non inquinanti (biofuels), come auspicato dal documento Draghi, e poter continuare a produrre motori tradizionali per impiegare questi carburanti.

E i biocarburanti sono essenziali per il settore aereo, per i quali propulsori alternativi non sono all’orizzonte. Anche qui, si possono creare economie di scala.

Esistono anche ampi spazi di progresso per propulsori tradizionali per ridurre i consumi indipendentemente dal carburante usato.

In questa gara può concorrere anche la tecnologia dell’idrogeno per i mezzi più pesanti, per esempio camion e autobus.

In sintesi, puntare su standard di abbattimento delle emissioni, senza “sposare” una tecnologia particolare (si chiama “picking the winner”), pur prendendo atto che quella elettrica è la più promettente, può indurre il mercato a sviluppare innovazioni in molte direzioni. Che cento fiori fioriscano, secondo un detto cinese.