
12 marzo 2025
di Francesco Ramella
Scriveva Benjamin Franklin nel 1789, in una lettera indirizzata a un amico, che nella vita non vi è nulla di sicuro tranne la morte e le tasse. Si parva licet componere magnis potremmo aggiungere tra le pochissime altre certezze il riapparire nei titoli di giornali e tg, da decenni ormai, della “emergenza smog”. L’ultima occasione è stata la pubblicazione qualche giorno fa del rapporto di Legambiente “Mal’aria”.
Nel documento si legge che la situazione dell’inquinamento: “mostra poche luci e molte ombre sul nostro Paese. Si nota infatti una certa inerzia nel volere affrontare strutturalmente questo problema”. Affermazione quanto meno curiosa se si considera che da molti decenni la qualità dell’aria nelle nostre città è – al contrario di quanto sono indotti a pensare dalla pessima informazione in materia quasi tutti gli italiani – in netto miglioramento grazie a politiche non certo occasionali e che hanno fatto sì che nel 2023, per la prima volta da quando si effettuano le misurazioni, sia stato rispettato in tutte le stazioni di misura il valore limite annuale per il PM10; l’analogo limite per il NO2 è stato rispettato nel 98% dei casi ossia in 597 stazioni su 610. Il valore limite giornaliero – 50 µg/m³ da non superare più di 35 volte in un anno – è stato superato in 63 stazioni, pari all’11% dei casi.
L’argomento intorno al quale è imperniata l’analisi di Legambiente è il mancato integrale rispetto dei limiti previsti dall’attuale normativa e, ancor più, dei nuovi limiti che entreranno in vigore nel 2030. La nuova direttiva per la qualità dell’aria approvata in via definitiva il 14 ottobre 2024 dal Consiglio dell’Unione europea prevede che la media annua da non superare per il PM10 venga ridotta dagli attuali 40 a 20 µg/m3 e che la media giornaliera abbassata a 45 µg/m3 non venga oltrepassata per più di 18 giorni; viene altresì portata da 40 a 20 µg/m3 la media annua per il NO2 e, anche per questo inquinante, si introduce una soglia giornaliera di 50 µg/m3 da non superare per più di 18 volte.
I valori più elevati di concentrazione media annua di PM10 nelle maggiori città italiane si attestano attualmente intorno ai 30 µg/m3; tra di esse vi è la città di Torino dove nel 2023 il livello si è assestato a 32 µmg/m3. A inizio secolo, quando sono iniziate le misurazioni, la concentrazione era intorno ai 70 µg/m3 e, sulla base dei valori del particolato totale sospeso, si può stimare che mezzo secolo fa si superassero largamente i cento microgrammi (Figura 1). Se ne deduce che lo scostamento degli attuali livelli rispetto ai nuovi limiti sia di entità assai ridotta rispetto al miglioramento già conseguito; analoga considerazione può essere svolta con riferimento al biossido di azoto.
E di entità assai limitata sono i benefici in termini di maggiore aspettativa di vita che si potrebbero ottenere se i nuovi limiti fossero ovunque rispettati. Una recente analisi stima infatti che, qualora in Italia la soglia prevista dalla nuova Direttiva UE per il PM2.5 pari a una media annua di 10 µg/m3 fosse ovunque rispettata, la speranza di vita crescerebbe di 0,08 anni ossia di un mese (dal 1992 al 2023 l’aumento è stato di settanta mesi) (Figura 2). Tale valutazione non tiene conto degli effetti negativi delle misure necessarie per raggiungere tale obiettivo.
L’impatto positivo sarebbe registrato prevalentemente nel Nord dove, a causa delle condizioni orografiche più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti, si registrano le più elevate concentrazioni di inquinamento e dove, peraltro, l’aspettativa di vita è già oggi superiore di circa tre anni rispetto a quella delle meno inquinate e più povere regioni del Sud.

Figura 1 – Concentrazioni medie annue di particolato totale sospeso e PM10 a Torino (1980-2023)
Fonte: nostra elaborazione su grafico Arpa Piemonte, 2023

Figura 2 – Speranza di vita alla nascita in Italia: dati 1992-2023 e stima per uno scenario con concentrazione media annua PM2.5 inferiore a 10 µg/m3
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT e Apte et al., 2018
Secondo Legambiente, tra le misure da attuare, sarebbe necessario “potenziare con forza il trasporto pubblico che deve essere convertito con soli mezzi elettrici entro il 2030 e avviare uno stop progressivo ma anche incisivo ai veicoli più inquinanti nei centri urbani”. Come quasi sempre accade quando ci si occupa di politiche ambientali, è assente qualsiasi riflessione relativa ai costi delle politiche da adottare. Si assume che il raggiungimento dello standard sia desiderabile in sé quali che siano gli oneri da sopportare per conseguirlo.
Se così fosse, sarebbero da ritenere auspicabili politiche di restrizione della mobilità e delle altre attività economiche ancor più drastiche di quelle attuate nel corso della pandemia Covid-19 che, pur portando a una riduzione della mobilità dell’80%, non consentirono di far scendere l’inquinamento al di sotto dei livelli previsti dalla regolamentazione vigente e che ebbero, in particolare, un impatto minoritario per quanto riguarda le polveri fini.
Tale esito era prevedibile. Infatti, ad esempio, nel caso della città di Milano, il settore dei trasporti contribuisce alla concentrazione in atmosfera del PM2.5 per una quota pari al 17% (Figura 3); le emissioni urbane si attestano intorno all’8%. Considerato che circa un terzo di esse sono riconducibili ad autobus e mezzi commerciali, il contributo degli spostamenti in auto in città è intorno al 5% ossia in termini assoluti di circa 1 µg/m3. Di tale entità sarebbe quindi la riduzione della concentrazione di polveri fini in un ipotetico scenario di azzeramento degli spostamenti individuali. Qualunque ipotesi di potenziamento del trasporto pubblico avrebbe un impatto pari a una frazione della stessa, ossia pressoché impercettibile.

Figura 3 – Contributi spaziali e settoriali alla concentrazione di PM2.5 nella città di Milano
Fonte: European Commission, 2023
Quasi tutti giudicherebbero a buon senso un divieto generalizzato di uso dell’auto sproporzionato rispetto ai benefici conseguiti.
Forse è meno scontato che la stessa conclusione si dovrebbe applicare anche a provvedimenti più limitati di divieto di circolazione come, ad esempio, l’Area B adottata nello stesso capoluogo lombardo, che comportano costi di gran lunga superiori ai benefici ottenuti e che non avrebbero ragione di esistere qualora si applicasse il principio, in teoria sostenuto dalla stessa Unione Europea, del “polluter pays”. In Tabella 1 sono riportati i dati relativi al costo esterno dell’inquinamento atmosferico per auto diesel contenuti nel più recente Manuale sui costi esterni dei trasporti della Unione Europea. Per un’auto di cilindrata compresa tra 1,4 e 2 litri, il costo unitario è compreso tra i 7,05 centesimi€/passeggero-km di un Euro0 e i 0,86 centesimi€/passeggero-km per un Euro6. Un tipico viaggio in città su un percorso di cinque chilometri con un’auto a standard Euro5 provoca un danno pari a circa 5 centesimi che equivalgono a pochi punti percentuali dell’utilità dello stesso.
Una politica efficiente ed equa dovrebbe limitarsi a tassare i veicoli in proporzione a questa e alle altre esternalità ambientali, senza ulteriori divieti o sussidi ai trasporti pubblici. Tale condizione è verificata in Italia per tutte le auto tranne quelle a gasolio con standard uguale o inferiore a Euro2. L’esternalità più rilevante nelle aree più dense è rappresentata dalla congestione che invece non è internalizzata e dovrebbe esserlo con l’adozione di pedaggi urbani.

Tabella 1 – Costi esterni dell’inquinamento atmosferico per le auto diesel
Fonte: European Commission, 2019
Con riferimento all’inquinamento atmosferico, non sono internalizzate le esternalità generate dall’utilizzo di biomasse per il riscaldamento e dall’agricoltura che, nel caso sopra indicato di Milano, contribuiscono per quasi il 60% alla concentrazione di polveri fini; anzi, questi settori hanno ricevuto e ricevono sussidi pubblici che dovrebbero essere eliminati.
È facilmente prevedibile che nei prossimi anni si ripresenteranno vicende come quella che negli scorsi anni ha visto andare sotto processo Chiara Appendino, Sergio Chiamparino e Piero Fassino accusati di non aver adottato tutte le misure necessarie per far rispettare i limiti in vigore. Gli imputati sono stati assolti dai giudici poiché: “il divieto pressoché assoluto dell’utilizzo dei mezzi di trasporto e l’adozione di simili misure avrebbe presentato evidenti criticità rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di attenzione” quali “la libertà di circolazione delle persone, la tutela dell’occupazione e delle attività economiche che vengono inevitabilmente pregiudicate dal blocco del traffico e misure analoghe”.
Al contempo è verosimile che si aprano nuove procedure di infrazione e che l’Italia sia sanzionata.
Paradossalmente, questo sarebbe il male minore, in quanto meno oneroso dei provvedimenti necessari per rispettare la norma. Bisognava pensarci prima, ma arriviamo sempre tardi.