27 ottobre 2022
di Marco Ponti
Perché è importante quanto pagano gli utenti e quanto lo Stato
Nelle valutazioni delle scelte di investimento pubblico c’è una tradizione per cui, se va bene, si fanno valutazioni del tipo costi-benefici sociali (ACB). Per i trasporti, costi e risparmi di tempo, di carburante, di costi ambientali. Si ritiene che per una infrastruttura i ritorni finanziari, cioè quanto poi pagano gli utenti per usarla, sia irrilevante rispetto a quanto paga lo Stato, cioè i contribuenti. Si ritiene che questo sia solo un trasferimento di moneta, non modifichi il benessere collettivo.
Ma non è così. In primo luogo, è chiaramente diverso se uno Stato ha i conti in ordine o è, come in Italia, oberato da un debito pubblico altissimo, non destinato a ridursi molto anche se, con il PNRR, riuscissimo a crescere, cioè a migliorare il rapporto tra debito e PIL (che è quello che determina la sopportabilità del debito).
Inoltre un progetto nel quale gli utenti ripagassero una parte non trascurabile dell’investimento, genererebbero per lo Stato anche risorse fresche per ulteriori investimenti, senza peggiorarne i conti. In alcuni casi si può calcolare che questo flusso aggiuntivo di risorse può generare un benessere aggiuntivo alla collettività tale da rendere meglio scegliere un’infrastruttura che si ripaga molto rispetto a una, socialmente migliore sulla carta, ma priva di ritorni finanziari (cfr. il caso delle autostrade francesi esemplificato in un celebre studio di Alain Bonnafous). Quanto pagano gli utenti e quanto lo Stato cioè i contribuenti, è importante anche per valutare gli aspetti distributivi di un investimento, cioè quanto incide sulle diverse categorie sociali.
In ogni caso però occorre mantenere un ragionevole equilibrio tra quanto paga lo Stato e quanto gli utenti (nella letteratura economica è nota come questione delle tariffe ai costi medi o marginali, su cui qui non ci dilunghiamo). In estrema sintesi: se gli utenti pagano troppo, sono disincentivati a usare l’infrastruttura, questa rimane sottoutilizzata anche se le risorse per costruirla sono state già spese, e questo è poco efficiente.
Quali grandezze finanziarie nella valutazione delle infrastrutture?
Le grandezze finanziarie entrano, o dovrebbero entrare, in quattro modi nella valutazione degli investimenti: ovviamente con le tariffe che pagano gli utenti per usare l’infrastruttura, e poi con le tasse sulla costruzione (ma questo davvero è un semplice trasferimento allo Stato, che ne va a diminuire il costo reale per quest’ultimo).
Ma accanto a questi due aspetti ovvi, c’è anche quanto lo Stato perde nel caso l’infrastruttura sposti traffico da un modo di trasporto ad un altro. Se si fa una ferrovia nuova e veloce, si avranno meno auto e camion sulla strada, e quindi meno ricavi dalle (alte: 200%) tasse sui carburanti. Vanno messe nel conto come un costo aggiuntivo di quell’opera per lo Stato.
Infine c’è un quarto costo, un po’ più complesso da spiegare: il costo della spesa pubblica (che gli economisti chiamano convenzionalmente Costo Opportunità Marginale dei Fondi Pubblici, COMFP). Sostanzialmente è fatto da due componenti certe e una più dubbia: quelle certe sono la riduzione dei consumi di chi paga le tasse con la quale poi lo Stato realizza le opere, e si misura con la sua perdita di benessere (“deadweight loss”), e i costi “burocratici” di prelevare e poi spendere denari pubblici, che non sono affatto trascurabili. Quella dubbia è relativa alla potenziale perdita di benessere per mancati investimenti privati che potrebbero non essere più fatti. Le stime di quanto il COMFP potrebbe incidere sui costi totali di un’opera variano dal 20 al 30%, valori certo non trascurabili.
Però questo costo ha un grave problema: formulato come è oggi, non tiene conto di quanto un paese sia indebitato, il che è davvero molto controintuitivo. Una spesa pubblica fatta in Svizzera o in Italia dovrebbe essere aumentata in modo uguale, per tenerne conto, mentre è evidente che è diverso spendere tra chi pesantemente indebitato e chi non lo è.
Un semplice ma innovativo metodo di calcolo per il costo dei fondi pubblici
Che fare? La soluzione non è complicata (bastano 4 numeri): parte dall’osservare che i costi per la collettività di una spesa pubblica non avvengono quando la spesa viene fatta, ma quando il corrispettivo importo viene fatto pagare come tassa ai contribuenti. E questo lasso di tempo corrisponde in media alla durata delle obbligazioni in cui consiste il debito pubblico. Tale durata media si denota come “maturità del debito”, e oggi è intorno ai 7 anni e mezzo. Ma in quel periodo il maggior debito ha un costo, che è dato dal rendimento medio delle obbligazioni, oggi circa pari al 2,5%. Quindi occorre pagare questi interessi, ma su un costo che è più remoto nel tempo, e che quindi vale di meno che se fosse immediato. Quanto di meno? Che lo dice la Commissione Europea, ed è calcolato con il Saggio Sociale di Sconto (SSS), che per l’Italia oggi è del 3%, ed è impiegato anche per “scontare” costi e benefici nelle analisi degli investimenti.
Quattro numeri, si è detto: COMPF (dal 20 al 30% della spesa), maturità del debito (7,5 anni), suo costo annuo (2,5%), SSS (3% per l’Italia).
Ora, non stiamo parlando di valori astratti, se vogliamo fare valutazioni del tipo costi-benefici: ogni Euro di costo pubblico di un progetto dovrebbe essere aumentato diciamo di un valore intermedio tra il 20 e il 30%, assumiamo prudentemente il valore minimo del 20%, che tuttavia dobbiamo prima aumentare dal 2,5% per 7,5 anni, poi “scontare” del 3% reale, che con l’inflazione all’8% diverrebbe l’11%. Scontandolo per 7,5 anni, e arriviamo a un valore per ogni Euro di 0,54, cioè si dimezzerebbe dal 20 a circa l’11%.
Bene, questo valore sarebbe sufficiente, stando alla pur super-ottimistica e parzialmente indifendibile analisi ufficiale del maggior progetto del PNRR, quello del primo lotto del raddoppio AV della linea Salerno-Reggio Calabria, a cambiarne il segno, cioè constatare che i costi superano i benefici sociali, dichiarare il progetto una perdita di benessere collettivo.
Ma in realtà siamo nella sfera degli scenari irrealistici: tra le cose che “per prudenza” non sono state calcolate in quella analisi, come d’altronde gli alti costi ambientali di cantiere, vi è anche il Costo Opportunità Marginale dei Fondi Pubblici. Meglio non rischiare di incorrere in risultati non desiderabili.