26 febbraio 2024
di Francesco Ramella
Il cielo di Lombardia è così bello quando è bello. Negli ultimi giorni non si può certo dire che sia stato così.
Come accade in ogni stagione invernale, complici le montagne che circondano la Pianura padana e l’assenza di vento, le sostanze inquinanti emesse da impianti di riscaldamento, industrie, allevamenti, auto e camion hanno iniziato ad accumularsi e le centraline di rilevamento della qualità dell’aria a far registrare valori sempre più elevati di polveri sottili. Non gradita ospite è poi arrivata a peggiorare il quadro la sabbia del Sahara.
Su giornali e telegiornali è scattato l’allarme. E abbiamo riletto gli stessi titoli di dieci, venti, trenta anni fa. Sembra che nulla sia cambiato da allora. La realtà, invece, è cambiata moltissimo. In meglio. Da molti decenni in Europa e in tutti i paesi occidentali (negli ultimi vent’anni anche in una città come Pechino) la qualità dell’aria è in forte miglioramento. Possiamo rendercene conto anche solo confrontando i dati degli ultimi giorni con quelli di inizio secolo. Nella stazione di rilevamento “Verziere” di Milano il valore più elevato di inquinamento è stato registrato domenica 18 febbraio: 110 microgrammi per metrocubo di polveri sottili (PM10), poco più del doppio del valore limite indicato dalla normativa in vigore. Nella stessa stazione, nell’anno 2001, il valore massimo rilevato nel periodo invernale fu pari a 309 microgrammi. E, se risaliamo ancora più indietro nel tempo, scopriamo che nei primi anni Settanta il livello medio di inquinamento nell’arco di tutto l’anno era all’incirca doppio rispetto ai picchi di questi giorni. Avevamo sempre la febbre alta ora solo più qualche linea.
Sondaggi e miti
Grazie alla cattiva informazione sul tema la maggior parte delle persone non è per nulla consapevole dei progressi compiuti.
Qualche anno fa Eurobarometro ha raccolto le opinioni dei cittadini europei sul tema della qualità dell’aria. Tra le domande poste vi era questa: «Ritiene che negli ultimi dieci anni la qualità dell’aria sia peggiorata, rimasta invariata o che sia migliorata?». Il 58 per cento degli intervistati ha risposto che vi è stato un peggioramento, il 28 per cento che non vi sono state variazioni e il 4 per cento di non saper rispondere.
Nel caso dell’Italia, su 100 intervistati, 74 affermano che l’inquinamento atmosferico è aumentato, 21 che è immutato e 2 non si esprimono. Solo una piccola minoranza, il 3 per cento di coloro che hanno partecipato al sondaggio, è consapevole che la qualità dell’aria è migliorata.
Un altro mito duro a morire è che la responsabilità dell’inquinamento sia principalmente di auto e camion; di conseguenza, a ogni “emergenza” c’è chi, come negli scorsi giorni il consigliere comunale di Europa Verde, Carlo Monguzzi, ripete che «servirebbe un serio piano della mobilità». La realtà, anche in questo caso, è un’altra. In una città come Milano tutto il traffico urbano è responsabile di circa il 15 per cento della concentrazione di polveri fini (l’inquinante più dannoso) e le auto per meno del 10 per cento. L’impatto sulla qualità dell’aria che oggi può avere il miglior piano della mobilità è quasi trascurabile. I miglioramenti futuri come quelli passati verranno quasi esclusivamente dal rinnovo del parco veicolare.
Morti da smog
Ma, nonostante i progressi, non è vero che l’inquinamento miete ancor oggi in Italia decine di migliaia di vittime?
In realtà, come si può leggere in un rapporto del Comitato britannico sugli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico, «non è possibile enumerare un gruppo effettivo di individui la cui morte è imputabile all’inquinamento atmosferico da solo, vale a dire parlare di vittime dell’inquinamento dell’aria esterna».
Nessuno esce di casa al mattino in buone condizioni di salute e non vi fa rientro alla sera perché ucciso dallo smog. Non si muore di inquinamento come si muore a causa di incidenti stradali, sul lavoro o domestici. La maggior parte degli studi epidemiologici giunge alla conclusione che, a parità di altre condizioni, un più elevato livello di inquinamento determina nel lungo periodo un incremento della mortalità correlata a patologie assai diffuse, in particolare quelle cardiovascolari. Il rischio relativo stimato è molto piccolo: si tratta di pochi punti percentuali a fronte di valori pari a o superiori a cinque come accadeva mezzo secolo fa.
L’Agenzia ambientale europea stima che in Italia vi siano intorno a 50 mila morti premature equivalenti e che la riduzione dell’aspettativa di vita causata dalle polveri sottili sia pari a circa 1.000 anni per 100.000 abitanti, ossia poco più dell’1 per cento.
D’altra parte, è un fatto e non una semplice correlazione che nella Pianura padana, area più inquinata di quasi tutte le altre, la speranza di vita media è pari a 83,6 anni, superiore di 3,5 anni rispetto alla media dell’Unione Europea.
L’aria pulita non è gratis
Qualora l’inquinamento venisse azzerato si potrebbe teoricamente conseguire un ulteriore incremento stimabile in circa dieci mesi. Ma, soprattutto se conseguito in tempi brevi, l’obiettivo si rivelerebbe del tutto illusorio e la agognata meta si trasformerebbe in un incubo. Basti pensare che i limiti previsti dall’Unione Europea (che non significano inquinamento nullo) non sono stati rispettati neppure nel periodo del lockdown, con la mobilità delle persone ridotta dell’85 per cento. Per avere un’aria perfettamente pulita dovremmo non solo fermare tutte le auto ma anche spegnere gli impianti di riscaldamento, le centrali elettriche, fermare le fabbriche e ogni altra attività che generi sostanze inquinanti. È facile immaginare come, in questo ipotetico scenario, lungi dall’aumentare la speranza di vita si ridurrebbe significativamente.
L’aria pulita non è gratis. E ogni singola politica volta a ridurre l’inquinamento dovrebbe essere valutata sulla base non solo dei benefici ma anche dei costi da sopportare. Sappiamo che in alcuni casi, come ad esempio il divieto di circolazione per i veicoli Euro5, il bilancio è fortemente negativo.
In tale ottica è da considerarsi positiva la proroga al 2040 dell’obbligo per l’Italia di adeguarsi a limiti di inquinamento ancor più stringenti di quelli in vigore. Ancor meglio sarebbe se ogni Regione potesse decidere in autonomia quali soluzioni adottare sulla base delle proprie condizioni specifiche. Ma il meglio, si sa, è nemico del bene. Accontentiamoci di un sano realismo.