23 novembre 2021

di Marco Ponti

In generale, è una buona regola che chi genera costi alla collettività li paghi. Tutti e solo quelli. Di solito non solo è giusto (si pensi ai costi ambientali, e al principio “chi inquina paga”), ma è anche efficiente, perché cosi chi genera costi cercherà di minimizzarli, beneficiando sé e gli altri.

Ma per gli investimenti in infrastrutture non funziona così. Sarebbe giusto ma non è efficiente. Tecnicamente, si tratta di “monopoli naturali”, che vuol dire che i costi di investimento sono molto più alti dei costi di usarli. Si pensi a una strada: costa cara a costruirla, mentre le macchine che ci passano su provocano solo un piccolo aumento dei costi di manutenzione (logorano un po’ il manto stradale, che però si danneggia anche solo con pioggia e sole). 

Proviamo ad arrivarci per via intuitiva, anche se non è semplicissimo. Una volta costruita una infrastruttura, per la collettività è meglio che sia usata per la capacità per cui è stata costruita, non di meno. Sarebbe uno spreco di risorse. Ora, se faccio pagare agli utenti anche i costi di costruzione, la useranno al di sotto della sua capacità. Devono pagare solo i costi che generano alla collettività usandola (cioè abbastanza poco). Se poi generano congestione, o danni ambientali, devo fargli pagare quelli, non altri. Si pensi a delle macchine elettriche che viaggiano su una strada non congestionata: se gli faccio pagare i costi di investimento, quella strada diventerà sottoutilizzata. 
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