7 marzo 2024

di Paolo Beria, Marco Ponti, Francesco Ramella

Il convegno annuale Politecnico – BRT, giunto alla sua seconda edizione, ha messo in luce una serie di spunti di riflessione che vale la pena di richiamare sommariamente, rimandando i molti approfondimenti possibili sia ai siti web dei promotori, che a interventi successivi su queste pagine.

L’analisi delle politiche dell’anno passato ha evidenziato uno scenario macroeconomico destinato a rimanere ancora molto critico, con bassi tassi di crescita e deficit elevati, che appare in contrasto con le scelte fatte per e infrastrutture previste nel PNRR (di gran lunga le più rilevanti per il settore).

Infatti queste hanno ignorato sia i vincoli finanziari (sono per la gran parte interamente a carico dell’erario), sia solidi obiettivi di crescita economica, che postulerebbero saggi di rendimento economico elevati.

E la debolezza degli strumenti di valutazione impiegati lo conferma: a livello macroeconomico si simulano solo gli impatti a breve della spesa, prescindendo dalla domanda servita, e a livello microeconomico le valutazioni, redatte dai destinatari delle risorse, risultano effettuate a valle di decisioni già prese, e con metodologie difficilmente difendibili, anche in termini ambientali.

Sono successivamente stati presentati due strumenti di simulazione della domanda di trasporto a livello nazionale, messi a punto uno dalle Ferrovie dello Stato Italiane e l’altro dalla società META Srl insieme al laboratorio TRASPOL del Politecnico di Milano (con il supporto parziale di BRT).

Il confronto è destinato a sviluppi futuri, pur avendo i due strumenti obiettivi parzialmente diversi, il primo multimodale e di carattere nazionale sia pur mirato alle strategie aziendali di un singolo modo di trasporto, e il secondo di carattere più generale e di natura indipendente (e di fatto il solo operativo di questo tipo).

Nel caso del modello delle FSI, abbiamo assistito ad una interessante presentazione sulle caratteristiche e l’architettura dello strumento, come il diverso livello di dettaglio tra mobilità locale e di lunga percorrenza e l’ampiezza dei dati di calibrazione utilizzati. L’aspetto più rilevante è che, in assenza di un modello pienamente operativo dentro al Ministero dei Trasporti, si tratta dell’unico strumento funzionante a livello nazionale per la programmazione del sistema ferroviario.

Per il modello META-Politecnico si sono anche visti i primi risultati di una simulazione di una politica di tariffazione efficiente del modo stradale, cioè omogenea a quella del modo ferroviario (“tariffazione ai costi marginali sociali”).

Per questa simulazione si è anche proposta una valutazione del tipo costi-benefici sociali, inclusiva degli aspetti ambientali e dei fenomeni di congestione. Tale valutazione è stata integrata al modello di traffico, garantendone così sia la coerenza metodologica che la relativa semplicità di applicazione.

I primi risultati appaiono coerenti alla teoria economica (la tariffazione ai costi marginali aumenta il surplus sociale), oltre che realistici in termini finanziari (nello scenario migliore si è ipotizzato che i ricavi del sistema stradale nel suo complesso restino sostanzialmente invariati e che non vi siano quindi oneri aggiuntivi per le casse pubbliche). Risultano osservabili anche, come era atteso, aspetti distributivi, per ora solo “geografici” (aree avvantaggiate e penalizzate).

Questo test si colloca all’interno di un programma pluriennale di simulazione e valutazione di politiche tariffarie, che ha visto l’anno scorso interessato l’ambito dei trasporti pubblici locali (di cui si forniranno le valutazioni socioeconomiche), mentre probabilmente si focalizzerà l’anno venturo sui prezzi dei carburanti.

Gli obiettivi del programma complessivo sono assai vasti, cioè sia di tipo scientifico (esplorare l’efficacia di un modello nazionale avanzato nel simulare gli impatti sul settore di politiche alternative), che, come si è detto, di ottimizzazione socioeconomica e finanziaria (massimizzazione del surplus sociale, inclusivo degli aspetti ambientali).

Non risulta che fino ad oggi simulazioni tariffarie con questo taglio e con strumenti di analitici di questo tipo siano mai state effettuate in Italia, e non ne sono note finora neppure per altri paesi europei.

Per inciso si osserva che le analisi del tipo costi-benefici di singoli progetti, basate sulla massimizzazione del surplus sociale, assumono sempre come invariato il quadro tariffario, e di conseguenza, là dove le tariffe non risultassero efficienti in termini di surplus, anche queste analisi fornirebbero risultati distorti.

Nella sessione specifica dedicata agli strumenti di valutazione, sono stati discussi tre aspetti rilevanti.

Il primo concerne un tema di attualità: il limite dei 30km all’ora nelle aree urbane dense. Nel caso della scelta di Bologna, questa risulta pienamente suffragata da una accurata e indipendente analisi costi-benefici sociali, che si è appoggiata a parametri europei verificabili.

L’analisi ha messo in luce la dominanza dei benefici di sicurezza rispetto per esempio a quelli ambientali, e la più ovvia dominanza delle perdite di tempo tra i costi e ha portato a escludere dal provvedimento le maggiori strade di scorrimento ove i costi superano i benefici

Certo tutto è perfettibile, ma questo approccio consente non solo di ottimizzare le scelte, ma di renderle trasparenti e “contestabili”, che in fondo è il maggior vantaggio delle analisi costi-benefici indipendenti, soprattutto in un campo finora dominato da approcci ideologici (pro-auto, anti-auto).

Il secondo aspetto concerne i rischi di distorsioni nelle politiche di investimenti infrastrutturali e ambientali quando la sfera politica preferisce, come spesso accade, indicare standard da conseguire senza averne verificato il rapporto tra costi e benefici per la collettività.

Sono stati presentati diversi casi reali (il nuovo collegamento ferroviario Torino – Lione, gli standard di qualità dell’aria e i divieti di circolazione a essi correlati, il “net zero” per le emissioni di CO2 all’orizzonte del 2050) per i quali tale distorsione è stata evidenziata in modo fattuale.

Si ricorda per inciso che, a parità di risorse disponibili, non ottimizzane l’uso significa danneggiare l’ambiente: per esempio, abbattere le emissioni di CO2 dove costa di più, significa, molto concretamente, che se ne potrà abbattere meno di quanto sarebbe possibile.

Il terzo tema concerne un diffuso errore metodologico presente nelle analisi costi-benefici sociali: una semplificazione dei costi considerati solo apparentemente accettabile, che genera in realtà rilevanti errori di calcolo.

Tale erronea semplificazione connota purtroppo quasi tutte le analisi ufficiali effettuate in Italia, e riguarda specificamente i benefici per gli utenti generati dal cambio di modo di trasporto.

In estrema sintesi, consiste nel confrontare solo la differenza tra costi e tempi di viaggio tra le situazioni senza il progetto e con il progetto.  

In realtà, i rilevamenti empirici mostrano che nelle scelte modali sono in gioco altre importanti variabili, che nella modellistica assumano la forma di “costanti modali” e nell’analisi economica quella di “costi non osservabili”.

Da quest’ultima osservazione deriva la prassi, divenuta all’estero dominante, di derivare la reale differenza di costi dalle scelte degli utenti, e da tale differenza dedurne poi le variazioni di benessere che ne derivano (si tratta della nota “regola della metà”).

L’ultima sessione ha affrontato il tema della governance e della regolazione del settore, appoggiandosi alla recente uscita di un libro a cura di BRT focalizzato su questi temi.

Il dibattito, in primo luogo, ha messo in luce la criticità delle decisioni sull’assetto dei mercati rilevanti nei trasporti, rispetto alla tradizionale priorità politica assegnata alla formulazione di altisonanti piani nazionali dei trasporti.

Questi ultimi, come le esperienze italiane dimostrano, sono in genere destinati ad avere sia scarsa rilevanza pratica che vita politica breve, a motivo della prevalente loro natura di elencazione di investimenti infrastrutturali, promessi per motivi di consenso (“shopping lists”).

In secondo luogo, è emersa la scarsa capacità incentivante degli attuali strumenti di regolazione non indipendenti, che inducono i soggetti pubblici regolati a concentrare i loro sforzi nel richiedere risorse all’amministrazione centrale, invece che impegnarsi nell’efficientamento delle imprese che controllano.

Le ragioni di tale scarsa capacità incentivante sembrano essere da un lato l’eccessivo accentramento delle risorse, che ha effetti deresponsabilizzanti per i gestori, e, dall’altro, l’insufficienza dei meccanismi premianti per i comportamenti virtuosi, sia sul piano dei costi di produzione che della qualità dei servizi.