24 luglio 2024
di Marco Ponti
I trasporti pubblici locali nell’autonomia differenziata
Il quadro normativo della legge per l’autonomia differenziata regionale, in prima analisi, non riguarda i trasporti pubblici locali (Tpl), anche se molti politici citano il settore.
La ragione è semplice: il Tpl è già stato devoluto alle regioni con la legge 422 del 1997. In termini economici, tuttavia, la devoluzione risulta molto parziale: lo stato trasferisce alle regioni oltre 7 miliardi di euro all’anno per sussidi ai costi di esercizio, più del 50 per cento del totale, e si fa carico di una quota maggioritaria degli investimenti in infrastrutture su ferro (ferrovie regionali e metropolitane).
Quindi, formalmente, non vi sarebbe spazio per definire i livelli essenziali di prestazioni (Lep) per i trasporti locali. La legge indica però un particolare campo delle infrastrutture di trasporto in cui i Lep sarebbero necessari (in caso di richieste regionali). Si tratta di “porti e aeroporti civili” e “grandi reti di trasporto e di navigazione”. Ora, infrastrutture di questo tipo hanno carattere essenzialmente interregionale o addirittura nazionale o internazionale, dato il tipo di domanda che servono.
La definizione di servizi essenziali a scala regionale non può prescindere dai livelli di domanda e dai costi di investimento, ma nemmeno dagli effetti di scala superiore, o di rete.
Inoltre, che senso potrebbero avere infrastrutture costose, senza che una domanda di trasporto supporti servizi adeguati? Linee alta velocità con dieci treni al giorno? Porti deserti?
Sembra un esercizio che rasenta l’impossibilità o la totale discrezionalità, per cui non resta che auspicare che il tema mobilità non abbia un seguito pratico, almeno in questa forma.
Costi standard e servizi minimi
Concentriamo invece l’attenzione sui servizi di Tpl per i quali in teoria potrebbe avere senso garantire livelli essenziali di servizio, anche se la devoluzione alle regioni risulta oggi parziale.
Qui ci sarebbero ampi spazi di miglioramento, in quanto sono stati proposti, ma mai attuati, due criteri rilevanti di omogeneizzazione a livello regionale, i “costi standard” e i “servizi minimi”.
I primi hanno l’obiettivo di passare dall’attuale sistema di trasferimenti, che si basa sui sussidi storici, a uno orientato all’efficienza, fondato su costi di produzione riconosciuti come massimi accettabili e derivati dall’osservazione di situazioni medie nazionali.
È una soluzione che può servire come base d’asta per l’affidamento dei servizi mediante gare, in modo da un lato da verificare l’osservanza di parametri normativi (come il rispetto dei contratti nazionali di lavoro), dall’altro senza costituire un ostacolo a offerte che risultassero inferiori allo standard, evitando così di “congelare” ai livelli medi attuali i costi di produzione, che oggi certamente non sono efficienti, essendo stata aggirata la normativa dell’obbligo delle gare attraverso continui rimandi, in una situazione che ricorda quella delle concessioni balneari.
I “servizi minimi”, mai definiti, sono invece un concetto assimilabile a quello dei “livelli essenziali di prestazione” della legge Calderoli.
Ma qui i problemi sono ancora più gravi di quelli relativi alla definizione di “costi standard”. Le situazioni possono essere molto diverse: in regioni a bassa densità l’occupazione dei mezzi pubblici è più bassa che in regioni dense, quindi occorrono più risorse per servire la stessa domanda. Tuttavia, nelle regioni ad alta densità insediativa può esserci un’elevata congestione, che richiede più trasporti pubblici, anche su ferro. O alcune regioni potrebbero avere problemi di domanda particolare, per esempio di tipo turistico, con esigenze ancora diverse, o avere reti stradali inadeguate, che aumentano i costi e diminuiscono la qualità dei servizi di trasporto pubblico.
Solo modelli analitici di simulazione del traffico, non immaginabili in questo contesto, potrebbero fornire una descrizione completa dei livelli del servizio dei trasporti pubblici; e comunque occorrerebbe poi definire, e negoziare, soglie “essenziali” per ogni regione.
Le differenze regionali del Tpl inoltre dipendono dai livelli di efficienza delle imprese, che determinano i fabbisogni di sussidi e la quantità dei servizi erogati.
I tentativi di incentivare l’efficienza delle imprese definendo i “costi standard” di produzione, sono falliti. Ed è stato sostanzialmente evaso l’obbligo di mettere in gara periodica i servizi di Tpl, soprattutto nelle città più grandi, dove la domanda è massima.
Come rendere più efficienti le gestioni
Per arrivare a qualche raccomandazione pratica, forse occorre prendere atto dell’estrema complessità e singolarità delle situazioni, ma anche ricordare che trasferimenti “in solido” incentivano l’uso efficiente delle risorse a livello locale.
Gli attuali trasferimenti, infatti, sono spesso “mirati” al ripiano dei conti di piccole e grandi imprese inefficienti, con l’effetto di deresponsabilizzarne le gestioni. Tutte le regioni tendono a incolpare lo stato centrale “avaro”, e non l’inefficienza delle proprie imprese di trasporto.
Sembrerebbe meglio partire dal semplice mantenimento del livello attuale dei trasferimenti, calcolando però i costi standard e cogliendo l’occasione della nuova legge per rendere i trasferimenti “in solido”.
In questo modo si asseconderebbero le pressioni regionali per una maggiore autonomia nell’uso delle risorse, per esempio tra l’allocazione a servizi su gomma o su ferro, e si introdurrebbe una importante incentivazione al loro uso efficiente, anche attraverso l’uso delle gare. Nel tempo, le risorse dovrebbero poi essere condizionate proprio al ricorso alle gare, ma in un quadro normativo diverso dall’attuale.
Per esempio, oggi l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), per assentire ad affidamenti senza gara dei servizi, deve richiedere alle amministrazioni locali concedenti, in palese conflitto di interessi, se si ritengono soddisfatte o meno delle prestazioni delle proprie imprese. Oppure alle città maggiori viene consentito di fare lotti unici, scoraggiando fin dall’inizio qualsiasi nuovo concorrente (“new entrant”), non ignaro che il giudice sarà anche titolare del loro rivale, già avvantaggiato dall’essere già presente (“incumbent”).
Alla fine del secolo scorso, si era tentato di erogare risorse “in solido” al settore dei trasporti locali, su richiesta delle regioni stesse, per incentivarne l’efficienza. Ma le regioni avevano poi restaurato il sistema dei costi storici “caso per caso”, proprio per non accollarsi alcuna responsabilità.
Tentativi centralizzati di entrare nel merito di una miriade di situazioni particolari non diminuirebbero certo la conflittualità tra amministrazioni locali e ministeri competenti, né probabilmente si riuscirebbe a garantire risultati più equi, anche per l’asimmetria delle informazioni, ovviamente quasi interamente collocate a livello locale.
Puntare a un aumento dell’efficienza del Tpl può essere un limitato, ma corretto, punto di partenza di un’azione riformatrice.