13 maggio 2022
Intervista a Francesco Ramella
ROMA – Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è forse il più grande progetto politico economico degli ultimi anni. Se ne parla da mesi e, almeno su carta, si dovrebbero raggiungere gli obiettivi delle 6 Missioni, di cui si compone il Piano, entro il 2022
A che punto siamo? E soprattutto ogni Missione è realmente coerente con ciò che si propone? Con Francesco Ramella, docente di Trasporti all’Università di Torino e direttore esecutivo di Bridges Research abbiamo posto sotto la lente di ingrandimento la Missione 3, che ha l’obiettivo di rendere, entro il 2026, il sistema infrastrutturale più moderno, digitale e sostenibile, in grado di rispondere alla sfida della decarbonizzazione e di ridurre i divari presenti sul territorio nazionale.
– Cura del ferro equivale a curare l’ambiente e abbattere CO2?
«Questo è quanto ripetono, da decenni, l’Unione Europea e i governi nazionali. Ma non è così. È vero che i treni inquinano meno di auto e aerei, ma per abbattere in misura significativa la CO2 occorrerebbe spostare su ferrovia quote rilevanti di traffico.
Cosa che non è possibile fare. Nonostante ingenti trasferimenti di risorse alle ferrovie europee – più di mille miliardi negli ultimi venti anni – la mobilità in aereo è cresciuta tre volte di più e quella in auto otto volte di più rispetto a quella in treno.
Il caso forse più interessante è quello della Svizzera, il Paese che più e meglio di ogni altro ha investito nel trasporto ferroviario. Eppure, anche lì l’auto la fa da padrona: dal 1950 a oggi i chilometri percorsi su strada si sono moltiplicati per dieci volte, quelli in treno poco più di due.
Nel caso delle merci il predominio del trasporto su gomma è ancora più netto. Se si considera il fatturato o i flussi di traffico, la quota di mercato della ferrovia in Italia è pari a circa il 2% e poco di più negli altri Paesi. Gran parte degli spostamenti di merci avvengono su distanze medio-brevi (all’interno delle singole regioni) dove il treno non può competere con il camion. Nel nostro Paese un raddoppio del traffico su ferrovia, che è grosso modo invariato da venti anni, farebbe ridurre le emissioni complessive del trasporto merci di circa il 5% (l’1% di quelle nazionali).
Se vogliamo azzerare le emissioni di CO2 non vi è altra strada che l’innovazione tecnologica. È quanto già accaduto per gli inquinanti locali che sono stati radicalmente ridotti rispetto ai decenni passati pur in presenza di un aumento della mobilità. Non dobbiamo dimenticare che nel caso della CO2 il problema è a scala mondiale e che nei prossimi decenni gli spostamenti di persone e merci continueranno a crescere soprattutto fuori dall’Europa. Ridurre di pochi punti percentuali i chilometri percorsi da auto e camion nella UE è sostanzialmente irrilevante per il clima».
– L’inganno della missione 3: si raggiungono realmente gli obiettivi?
«No. Gli obiettivi fissati dal Pnrr sono del tutto irrealistici. Per i passeggeri si ipotizza che la quota di traffico passi dal 6% del 2019 (oggi è inferiore) al 10% del 2030 e che al contempo di riduca dall’82% al 77% quella dell’auto. Basti pensare che dal 2007 al 2019 ossia nel periodo di rapido sviluppo del traffico sulle linee AV, la ferrovia nel suo complesso è passata dal 5,6% al 6,2% tornando a una quota identica a quella di venti anni fa. Gli investimenti dei prossimi anni interesseranno linee con traffico di gran lunga inferiore a quello della direttrice Milano – Napoli e, quindi, la loro ricaduta sarà molto più limitata. Possono passare dalla strada alla ferrovia alcune decine di migliaia di passeggeri non un milione. Se il Governo scrivesse in documento ufficiale che l’Italia nel prossimo decennio crescerà del 6% all’anno, è facile prevedere che si leverebbe un coro di critiche unanime mentre “previsioni” altrettanto fantasiose per le ferrovie sembrano accolte da tutti senza il minimo dubbio. E quelle cifre servono per giustificare investimenti per decine di miliardi».
– Vecchi progetti spacciati per nuovi obiettivi
«Sì, si tratta per lo più di progetti già nel cassetto che vengono riproposti nell’ambito del Pnrr; la principale novità è la nuova linea AV tra Salerno e Reggio Calabria. D’altra parte, visti i tempi stretti previsti non si poteva pensare a nulla di diverso. Sarebbe stato davvero strano che un Paese che da decenni investe ingenti risorse in assenza di un rigoroso processo di valutazione di costi e benefici potesse agire meglio nella fretta e quando può utilizzare risorse che in parte sono a carico dei contribuenti europei».
Prosegui la lettura su Giornalisti Italia