10 aprile 2024
di Carlo Di Foggia
Economicamente è un danno per la collettività, ma grazie a una verosimile sottostima dei costi e a una sovrastima dei benefici ambientali il risultato si ribalta. È la sintesi ricavabile dall’analisi costi-benefici del Ponte sullo Stretto di Messina. Il testo è stato consegnato in Parlamento dopo una diffida di Angelo Bonelli (Avs) alla Stretto di Messina. Il risultato finale non sorprende e nemmeno la pessima abitudine delle grandi opere italiane: queste analisi vengono commissionate dai promotori e infatti non sono mai negative.
Quella sul ponte non fa eccezione, anche perché è un aggiornamento della precedente del 2012, sempre positiva, da parte degli stessi autori e dello stesso centro di ricerca: Oliviero Baccelli e Roberto Zucchetti del Certet Bocconi, già coinvolti nelle analisi positive sul Tav Torino-Lione, usate nel 2019 per criticare il possibile stop all’opera (Baccelli è poi finito nel Cda di Telt, la società che deve realizzare il Tav ed entrambi sono stati soci di una società consulente di Telt).
Breve premessa: queste analisi non misurano la sostenibilità finanziaria di un’opera, ma i suoi effetti economici, sociali e ambientali. Servono per valutare se è meglio dirottare i soldi altrove. Quella sul ponte, però, non valuta alternative.
Come detto, il risultato è positivo, con un saggio di rendimento interno del 4,5%. Il dettaglio dei numeri, però, svela molte incongruenze. In primo luogo, dal punto di vista strettamente economico, l’investimento è in perdita: a fronte di costi di costruzione di 10,6 miliardi, i benefici economici (risparmi di tempo e riduzione di costi operativi dei mezzi di trasporto) sommano a 9,1 miliardi. Insomma, un danno da 1,5 miliardi. Come si arriva allora al risultato positivo? Grazie ai benefici in termini di riduzione delle emissioni climalteranti dovuta all’eliminazione dei traghetti tra Messina e Villa San Giovanni, al trasferimento su ferrovia di parte dei passeggeri che oggi utilizzano l’aereo e delle merci trasportate via nave. Parliamo di 12,8 milioni di tonnellate di CO2 in meno per un “beneficio economico” valutato dagli autori in 10,6 miliardi: questo è il costo (risparmiato) di abbattimento delle emissioni.
Su Lavoce.info l’economista dei trasporti Francesco Ramella nota che questo dato è molto elevato o “straordinariamente inefficiente”. Per stimare i costi, gli autori usano le linee guida Ue che prevedono un costo di abbattimento della C02 che sale dai 100 euro la tonnellata del 2020 agli 800 euro del 2050, quando – secondo i piani di Bruxelles – si dovrebbe arrivare alle emissioni nette zero. Questo incremento è logico: ridurre le emissioni all’inizio è più facile, ma più si riducono più abbattere quel che resta diventa costoso. Solo che nel 2050 si dovrebbe fermare, visto che le emissioni verrebbero azzerate e invece nell’analisi sono quantificati benefici per tutto l’arco di tempo: nel 2063, ultimo anno, ammontano a 400 milioni. Secondo Ramella, peraltro, questo porta a un valore unitario di oltre 800 euro a tonnellata di C02, molto elevato visto che oggi quello delle quote di emissione di gas serra nel sistema europeo di scambio (in sostanza, le tasse da pagare per emettere CO2) è di 60 euro.
L’altro dato che non torna è che non viene contemplato un aumento dei costi di costruzione, cosa successa a tutte le grandi opere italiane. In media, per i ponti, è del 26%, ricorda Ramella. Altra stranezza: i risparmi di tempo per i veicoli merci sono stimati, nel primo anno di esercizio, pari a 365 milioni, il triplo rispetto a quelli per i passeggeri, anche se il numero di mezzi pesanti che oggi si servono dei traghetti è di 800 mila unità, contro i dieci milioni di persone che attraversano lo Stretto. C’è poi l’ottimismo sulle stime di aumento del traffico: +1% l’anno fino al 2063.