22 aprile 2024

di Francesco Ramella

Come spesso accade, il confronto pubblico sulla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina sembra oscillare tra due opposti estremismi. C’è chi ritiene sia inutile oltre che dannoso per l’ambiente locale e chi afferma che il collegamento fisso con la Calabria sarà un volano per la crescita economica della Sicilia. 

Da quando è diventato titolare del dicastero delle Infrastrutture, Matteo Salvini è il più convinto promotore dell’opera benché solo qualche anno fa sostenesse di “non  voler spendere qualche miliardo per un ponte in mezzo al mare”. Un altro convertito è Matteo Renzi che nel 2012 diceva: “gli otto miliardi [nel frattempo sono diventati 13,5] del Ponte diamoli alle scuole per la realizzazione di nuovi edifici e per renderle più moderne e sicure”. Tutte le opinioni e le giravolte sono senza dubbio legittime e in democrazia si decide a maggioranza ma, forse, non è questo l’approccio più ragionevole per decidere se realizzare o meno un’infrastruttura. Non esistono opere del tutto inutili. Ogni investimento genera benefici per qualcuno ma realizzarlo è auspicabile solo se i benefici sono superiori ai costi da sostenere e se non vi sono impieghi più redditizi delle stesse risorse.

Nel caso del Ponte sullo Stretto solo ora, a valle di una decisione politica già presa da molto tempo, viene resa disponibile l’analisi costi-benefici. A fronte di costi di costruzione e gestione, al netto del valore residuo al termine del periodo di analisi, stimati pari a 10,6 miliardi, i risparmi di tempo e la riduzione di costi operativi dei mezzi di trasporto, risultano pari a 9,1 miliardi. La valutazione complessiva dell’investimento diviene positiva solo grazie al fatto che viene attribuito alla riduzione delle emissioni di CO2 un valore unitario – 828 € per tonnellata – molto più elevato sia del danno arrecato, oggi stimato pari a circa 100€, sia del costo di abbattimento in altri ambiti che è dell’ordine di qualche decina di euro. Ad esempio, il valore attuale delle quote di emissione di gas serra nel sistema europeo di scambio è inferiore ai 70 euro e il valore massimo raggiunto nel febbraio 2023 è stato pari a 105 euro.

Si può aggiungere che il bilancio strettamente economico è negativo nonostante che non sia stato messo in conto alcuno scostamento tra oneri da sostenere stimati a preventivo e quelli a consuntivo. Nel caso dei ponti tale divario in ambito internazionale ammonta in media al 26%. Inoltre, appaiono poco prudenziali le stime di crescita del traffico:  si prevede che tra il 2022 e il 2047 gli spostamenti dei passeggeri aumentino del 35%.

Tale valore, pur di per sé non particolarmente elevato, appare poco verosimile se si considerano le prospettive demografiche dell’Italia e in particolare quelle delle regioni meridionali. In base alle previsioni dell’ISTAT, nello scenario mediano la popolazione residente a scala nazionale è prevista ridursi dell’8% all’orizzonte del 2050 e per il Mezzogiorno il calo è stimato pari al 17% (e al 32% nel 2070).

I benefici, in media pari a 600 milioni per anno, sono peraltro molto lontani dai 6 miliardi che l’attuale titolare del dicastero delle Infrastrutture, insieme a molti altri, ha indicato come costo per la Sicilia della mancanza di un collegamento fisso con il Continente e non di entità tale da poter modificare le prospettive di sviluppo regionale.

Come ha scritto l’economista dei trasporti Yves Crozet con riferimento alla rete dell’alta velocità in Francia: “vi è una debole relazione tra la riduzione dei tempi di viaggio e lo sviluppo regionale. Possiamo illustrarlo utilizzando la famosa formula di Archimede: «Dammi una leva sufficientemente lunga e un solido fulcro e solleverò il mondo». Nel caso dell’alta velocità, la leva è il risparmio di tempo e il fulcro è il numero di viaggiatori. Ma rispetto alla massa da sollevare, un’area di diverse centinaia di migliaia o milioni di persone, il beneficio per poche decine di migliaia di passeggeri non offre né un forte fulcro, né una potente leva. L’alta velocità non può cambiare il volto di una regione, specialmente di quelle che perdono abitanti”.

Non potrà farlo neppure il ponte sullo Stretto di Messina. Basti pensare che, in media, ogni residente nell’isola attraversa il braccio di mare che la separa dal Continente meno di una volta all’anno: con il ponte risparmierebbe all’incirca due ore. E, d’altra parte, se fosse davvero l’insularità un elemento significativo che si frappone alla crescita della Regione non si spiegherebbe perché il reddito pro-capite della Calabria è inferiore a quello siciliano.

A essere significativamente avvantaggiati dalla realizzazione dell’opera saranno solo coloro che si spostano tra le due Regioni con elevata frequenza.

Non si tratta peraltro di un caso unico e neppure di quello peggiore. Ad esempio, l’altra grande opera per antonomasia, la TAV, costerà poco meno del ponte, farà risparmiare lo stesso tempo ma sarà utilizzata da un numero di persone pari a un decimo di quelle che si spostano tra Sicilia e Calabria mentre i camion, che oggi dispongono di ottimi collegamenti stradali,  saranno costretti a “traghettare” sulla ferrovia a suon di divieti di circolazione e aumento di pedaggi autostradali. Con la realizzazione del ponte si ristabilirebbero equità territoriale e coesione tra nord e sud nel cattivo impiego delle risorse dei contribuenti.