8 aprile 2024
di Francesco Ramella
Arriva la valutazione costi benefici per il Ponte sullo Stretto di Messina, dopo che la decisione di costruire l’opera è già stata presa. Il risultato è positivo solo grazie all’alto valore economico attribuito alla riduzione delle emissioni di CO2.
Prima la decisione, poi la valutazione
La pelle dell’orso è stata ripetutamente venduta dal ministro delle Infrastrutture che non perde occasione per ribadire che il Ponte sullo Stretto si farà e si farà in fretta con apertura dei cantieri già entro il 2024. Solo adesso viene resa disponibile l’analisi costi-benefici dell’opera redatta a cura della società “Stretto di Messina” e non, come invece sarebbe opportuno, di un soggetto terzo.
Nella storia infinita del Ponte sullo Stretto, prima si decide, poi si valuta. Non sembra il modo più razionale di procedere. Il risultato della analisi, ça va sans dire, è positivo: inimmaginabile la pubblicazione di una valutazione che sconfessasse l’operato di Matteo Salvini. Come sosteneva qualche decennio fa Henry Kissinger: “quando un ragguardevole prestigio burocratico è stato investito in una politica è più facile vederla fallire che abbandonarla”.
Ma le sorprese non mancano. Una è clamorosa: i numeri forniti dagli estensori dell’analisi (che non considera possibili soluzioni alternative) dicono infatti che l’investimento, sotto il profilo strettamente economico, è fallimentare.
Costi e benefici economici
Per costi di costruzione e gestione, al netto del valore residuo al termine del periodo di analisi, stimati pari a 10,6 miliardi, i benefici economici, dati dalla somma di risparmi di tempo e riduzione di costi operativi dei mezzi di trasporto, assommano a 9,1 miliardi (Figura 1).
Figura 1 – Valore attuale netto economico della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina
Desta più di una perplessità il fatto che i risparmi di tempo per i veicoli merci siano stimati, nel primo anno di esercizio, pari a 365 milioni (Figura 2), ossia quasi il triplo rispetto a quelli per i passeggeri, nonostante che il numero di mezzi pesanti che oggi si servono dei traghetti sia intorno alle 800 mila unità, contro più di dieci milioni di persone che ogni anno attraversano lo Stretto.
Figura 2 – Valorizzazione economica dei risparmi di tempo ottenuti con la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina
Occorre poi ricordare che, storicamente, le valutazioni economiche delle grandi opere sono soggette a optimism bias (pregiudizio dell’ottimismo): quasi sempre a consuntivo i costi risultano superiori a quelli stimati inizialmente (in media per i ponti del 26 per cento) e i benefici più limitati.
In ogni caso, anche qualora si considerino corrette tutte le assunzioni e i risultati della valutazione, la costruzione del ponte impoverirebbe gli italiani per un ammontare di 1,5 miliardi di euro.
Benefici climatici
Il fattore che fa cambiare di segno all’analisi è rappresentato dai benefici in termini di riduzione delle emissioni climalteranti, valutati pari a 10,6 miliardi a valori correnti (Figura 3). Detto altrimenti, se non esistesse il cambiamento climatico, il ponte sullo Stretto sarebbe non solo economicamente ma anche socialmente dannoso.
Figura 3 – Valorizzazione economica della riduzione delle emissioni climalteranti ottenuta con la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina
Questo elemento risulta decisivo per il via libera all’opera, sembra dunque opportuno approfondire alcuni aspetti della sua quantificazione.
Non entriamo nel merito di quella “fisica”: secondo gli autori della analisi costi benefici, grazie alla costruzione del ponte e alla conseguente eliminazione dei traghetti tra Messina e Villa San Giovanni, al trasferimento su ferrovia di una parte dei passeggeri che oggi utilizzano l’aereo e delle merci trasportate via nave, si conseguirebbe una riduzione di emissioni pari a 12,8 milioni di tonnellate di CO2.
Per la quantificazione economica del beneficio ambientale si è fatto riferimento alla pubblicazione della Commissione europea, Technical guidance on the climate proofing of infrastructure in the period 2021-2027 (Figura 4); il “costo esterno” – che va da 100 €/tonnellata di CO2 nel 2020 a 800 €/tonnellata nel 2050 – non rappresenta, come d’abitudine, il danno provocato dall’inquinante, ma corrisponde al costo minimo da sostenere per raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni nel 2050. Il beneficio di una riduzione delle emissioni viene equiparato a tale costo di abbattimento.
Figura 4 – Costo “ombra” delle emissioni di CO2 dal 2020 al 2050
Coerentemente con lo scenario di azzeramento di tutte le emissioni al 2050, negli anni successivi a quell’orizzonte temporale i benefici della riduzione delle emissioni di gas serra dovrebbero essere nulli. Traghetti e aerei ancora in servizio in Italia e in Europa sarebbero infatti a emissioni zero a partire da quell’anno. Così però non è: nell’analisi sono quantificati benefici per tutto l’arco di tempo considerato: nel 2063 ammontano a 400 milioni.
Dal rapporto tra valorizzazione economica (10,6 miliardi) e ammontare di CO2 abbattuta (12,8 milioni), si determina un beneficio unitario pari a 828 euro.
Come termine di paragone, il valore attuale delle quote di emissione di gas serra nel sistema europeo di scambio è di 60 euro e il valore massimo raggiunto nel febbraio 2023 è stato pari a 105 euro.
È stato altresì stimato che oggi la maggior parte delle emissioni mondiali di CO2 potrebbe essere abbattuta con un costo di gran lunga inferiore a quello preso come riferimento nell’analisi (Figura 5).
In sintesi, si può dire che la fattibilità socio-economica del Ponte “è appesa” a una ipotesi di riduzione delle emissioni straordinariamente inefficiente.
Figura 5 – Curva dei costi di abbattimento delle emissioni di CO2