
20 marzo 2025
di Marco Ponti
La recente analisi di Confindustria (CSC: “Lo stato di avanzamento del PNRR, misura per misura”), presenta una situazione molto critica sia sul livello reale della spesa sia sull’impatto di questa sul PIL.Queste perplessità confermano quelle ex-ante, ben argomentate dal libro di Tito Boeri e Roberto Perotti del 2023, sullo scarso contenuto strategico che emerge dal Piano, che da subito risultava frammentato in troppi canali di spesa, affidati inoltre a soggetti poco preparati a gestirli.
Per il livello di spesa, siamo di fronte a continui rimandi, che vedono rispettati i tempi previsti solo per gli anni iniziali, ma con una forte caduta nel 2024, caduta che sembra aggiungere altri 20 miliardi alle stime già molto ottimistiche di spesa per il 2025 e il 2026 (questo nemmeno intero).
Parliamo oltre la metà del totale del Piano, cioè circa 120 miliardi.
Una accelerazione davvero straordinaria, e poco credibile, della capacità di spesa.
Per gli impatti sul PIL la situazione è persino peggiore: risultano molto inferiori a quelli previsti nei primi anni, con una straordinaria accelerazione prevista per quest’anno e per l’anno prossimo, ultimo del Piano.
Insomma, stando alle previsioni ufficiali ci aspetterebbe un futuro roseo, capace di smentire ogni pessimismo.
Ma guardando le cose un po’ più da vicino, bisogna osservare che queste previsioni sono appoggiate a un modello macroeconomico, QUEST-III, molto peculiare, che assume che ogni spesa sia “ad alta efficienza”.
Il modello usato è del tipo input-output, valuta cioè quanto la spesa generi l’aumento dei redditi delle famiglie e delle imprese, attraverso sia gli effetti diretti nella fase di cantiere, che quelli successivi, generati nella fase in cui gli investimenti operano.
Per intenderci, per una infrastruttura di trasporto, il modello misura l’occupazione che si crea costruendola e poi i risparmi di tempo o di energia di cui godono poi gli utenti.
Nelle fasi iniziali del Piano, i risultati inferiori alle aspettative avrebbero già dovuto suscitare allarmi, trattando ovviamente solo gli effetti di cantiere, che sono quelli più certi e misurabili, oltre che vicini nel tempo.
Ma aspettarsi che siano straordinari gli impatti successivi, cioè i benefici generati dagli investimenti dopo che entrano in funzione. appare indifendibile, data l’assunzione aprioristica che tutti i progetti selezionati siano “ad alta efficienza”.
Questo, perché ad alta efficienza non sembra che lo siano affatto. L’efficienza avrebbe dovuto essere verificata ex-ante, con analisi microeconomiche del tipo costi-benefici, anche semplificate.
Ora, chi scrive può verificare i risultati delle analisi solo per il settore delle infrastrutture di
trasporto, per le quali alcune sono disponibili. Può darsi quindi che in altri settori l’efficienza sia molto più alta, sperare è sempre possibile.
Ma da questo sottoinsieme di investimenti (per circa 25 miliardi) risultano impatti tutt’altro che “ad alta efficienza”. Le analisi costi-benefici, pur effettuate dai destinatari stessi degli investimenti, e quindi con assunzioni estremamente ottimistiche, danno risultati modesti.
Questo anche perché le opere sono ad alta intensità di capitale (occupano poche persone per Euro speso) e i risparmi di tempo che generano non è affatto detto che si traducano tutti in aumento del PIL.
Sull’accuratezza della selezione di questi progetti poi getta una luce molto sfavorevole la sorte accaduta al maggiore di questi, il raddoppio ad alta velocità della linea Salerno-Reggio Calabria, che ha dovuto di fatto essere abbandonato a causa di problemi insormontabili, costruttivi e di costi, dalla tratta centrale.
Si può giustamente osservare che il PNRR rispondeva ad un drammatico rallentamento dell’economia italiana (e mondiale) dovuto alla pandemia, per cui occorreva immettere denaro pubblico nel sistema in tempi relativamente brevi, e non era dunque la qualità della spesa che era rilevante, ma la sua rapidità.
Questa assunzione però non sembra corroborate dai fatti: l’avvio della spesa è stato abbastanza lento, e i rimandi a cui si è accennato ne collocano ancora una gran parte in quest’anno e nell’anno prossimo, come abbiamo visto.
La strumento di valutazione macroeconomica usato, il modello QUEST III che abbiamo citato, non è risultato utile a valutare alternative, non per sua natura, ma perché semplicemente alternative di spesa non sono state valutate. Lo strumento ha avuto quindi solo un ruolo “agiografico”, per dimostrare che le scelte fatte erano comunque ottime.
Qualche aggiustaggio al PNRR è stato fatto anche “in corso d’opera”, e le risorse ancora da spendere sono talmente consistenti che forse qualche aggiustaggio ulteriore è ancora possibile, negoziandolo con la Commissione Europea. Una cosa è però certa: maggiore attenzione alle analisi microeconomiche e alla valutazione di scenari alternativi sarebbe stata possibile e necessaria.